Non solo comico, ma anche tifoso rossoblu. Paolo Cevoli, presente ad Empoli per la semifinale di andata di Coppa Italia, ha riassunto in un’intervista a Il Resto del Carlino la sua passione per il Bologna e l’entusiasmo del momento. Di seguito le sue parole.
«Non fisso traguardi per scaramanzia, ma tra corsa Champions e Coppa Italia in città si respira un entusiasmo pazzesco. Da tifoso me la godo, sperando di portare dalla mia parte anche mio nipote Tommaso, che vive a Milano e a sei anni è già interista. Però vedo che gli sta nascendo una simpatia per il Bologna…»
«Ha presente quelle donne che uno conosce e frequenta da una vita e di cui improvvisamente si accorge di essere innamorato? Col Bologna per me è andata così».
«Ho fatto qui l’università, laureandomi in legge. Poi sono stato amministratore di ‘Italy & Italy’, la catena di fast food che aprì un locale in centro. Sono tornato in Romagna solo per sposarmi, ma dal 1990 vivo sotto le Due Torri. Anzi subito fuori città, in campagna: un posto bellissimo»
«Al Dall’Ara in tutti questi anni sono andato diverse volte, ma sempre con occhio da spettatore. Poi un bel giorno ho capito che mi stavo prendendo una cotta e oggi sono cotto duro».
«Al di là del piacere di stare un po’ coi giocatori volevo conoscere Italiano, capire che uomo c’era dietro quello che vedevo in televisione e in campo».
«Mi ha entusiasmato la sua umanità. Quando mi ha portato nel suo ufficio mi ha fatto vedere che sulla scrivania tiene i tre Re Magi. Mi ha detto che nel calcio per lui rappresentano l’allenatore, la squadra e la società, e che il bambino da adorare è il pubblico».
«Di lui mi colpisce l’empatia: penso a come ha parlato di Dallinga dopo Venezia. Dai, sul gol di Orso Dallinga ha fatto solo un retropassaggio in una partita in cui non aveva fatto molto. Però Italiano quel gesto lo ha rimarcato esaltando il suo senso di partecipazione al gruppo. Me lo diceva anche Sartori».
«La forza di questo Bologna è che non ci sono delle primedonne. E anche quelli bravi, che pure non mancano, non hanno mai un atteggiamento da primadonna. Sono tutti sullo stesso piano: se manca uno gioca un altro e non ti accorgi della differenza».
«È un Bologna da ‘fatti, non pugnette!’. Ma soprattutto è un Bologna pieno di valori che esprimono al meglio il territorio. Saputo è italo-canadese, Fenucci e Di Vaio sono romani, Sartori è di Lodi e Italiano è siciliano: però, fateci caso, sono tutti bolognesissimi. E danno ragione alla mia tesi».
«Ho sempre pensato che una squadra come il Bologna debba rappresentare i valori del nostro territorio. Ecco, questo Bologna racconta Bologna, la sua empatia, la sua gioia di vivere».
«Allora aiutavo i miei che a Riccione gestivano la pensione Cinzia. Dello scudetto del ‘64 non ho memoria: ricordo invece i bolognesi che alloggiavano da noi e che due anni dopo, al Mondiale inglese, parlavano solo di quell’Italia umiliata dalla Corea e dei tanti rossoblù che c’erano in quella squadra».
«La squadra di Italiano è come un’opera lirica. Può piacerti quel tenore o quel soprano ma è l’opera nel suo insieme che ti conquista».
«Nel calcio funziona come con le donne, incidono mille fattori. Per scaramanzia non dico niente: dico solo che ho un problema. Sarò a Bologna, al Teatro delle Celebrazioni, col mio spettacolo ‘Figli di Troia’ il 13, 14 e 15 maggio. Capito perché la sera del 14 ho un problema?».
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