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Editoriale – Virtus all’attacco

La Virtus continua la sua marcia da imbattuta in trasferta, tornando a vincere in casa di Cantù dopo 12 anni. Lo ha fatto con una partita condotta per larga parte in testa nel punteggio, con un attacco che ha girato quasi sempre alla perfezione e con una difesa che al contrario ha avuto molti passaggi a vuoto. In particolare sotto l'aspetto della concentrazione, con i lunghi canturini che hanno conquistato rimbalzi offensivi praticamente indisturbati e con gli esterni che hanno avuto troppe occasioni per tirare piedi per terra da oltre l'arco. 

Non è la prima volta che la difesa bianconera concede così tanto all'avversaria di turno ma non è un dazio da pagare se l'attacco gira come a Desio, con 30 assist – record societario – e con una qualità molto elevata nell'esecuzione dei giochi. Il tutto peraltro in una giornata non produttiva di Marco Belinelli, reduce da una super gara in Eurocup contro il Cedevita: è altamente probabile che nel prossimo mese di prestazioni di alti e bassi di Belinelli ne vedremo di altre finchè la condizione fisica non sarà al 100%.

Nel post partita Aleksandar Djordjevic ha evidenziato una giocata di Stefan Markovic, ma non uno dei 9 assist bensì un tuffo per recuperare un pallone: "Questo è un esempio per tutti i suoi compagni. Mi aspetto ancora più giocate difensive importanti da parte delle nostre seconde linee". È un riferimento interessante dal coach Segafredo, che evidentemente non ha avuto tutte le risposte che voleva da chi nelle gerarchie è in seconda o terza fila. Djordjevic è ben conscio che per arrivare fino in fondo ha bisogno dell'apporto di tutti, a maggior ragione in una situazione in cui senza Tessitori e Pajola le rotazioni sono più corte del solito. Non ne farei una questione di fiducia nei pretoriani e di non o scarsa fiducia negli altri: mi pare più un discorso legato alla volontà di stimolare chi oggi appare più indietro e/o più discontinuo (su tutti Abass e Alibegovic) perché alzino il loro livello di rendimento, conditio sine qua non perché la Segafredo a fine stagione alzi al cielo una o più coppe.

Dario Ronzulli

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