L'ex allenatore di basket Valerio Bianchini, ha rilasciato un'intervista al quotidiano “la Repubblica”, in occasione del suo 80esimo compleanno, dove ha parlato di tanti temi, tra cui Gianmarco Pozzecco, Sergio Scariolo e Milos Teodosic. Di seguito riportiamo le sue dichiarazioni:

POZZECCO: “Petrucci lo ha scelto perché sa comunicare. La sua aura è l’emotività. Pozzecco è irrefrenabile, compartecipa e condivide. Si agita molto, piace alla gente. Bene, bello, può funzionare qualche volta, ma un ct ha una figura diversa. Deve dare luce a tutti gli allenatori, insegnare, fare scuola, siamo andati tutti a bottega da Paratore, Primo e Gamba. Il basket si deve arricchire, non immiserire, ma come si fa in un campionato dove ogni anno le squadre cambiano 10 giocatori su 12? E quando l’orchestra ogni volta è nuova cosa fa il direttore?

SCARIOLO: “Ha dato alla Virtus un gioco armonico, ha fatto molti miglioramenti in difesa e gli è riuscita la sintesi tra velocità e fisicità. È bravo a usare la zona mista, usa tutti gli strumenti tattici. Poi se l’altro tira meglio da tre, anche Scariolo perde. Seguo anche il lavoro di Ettore Messina e il suo rigore in difesa, ma è un altro che si è dovuto arrendere al tiro da tre punti. Non sarà un caso se anche un grande coach Nba come Popovich lo vorrebbe cancellare. Pure lui si dice annoiato”.

TEODOSIC E RODRIGUEZ: “Rodriguez e Teodosic, enormi narcisisti. Ok sei bravo, ti guardo, ti applaudo, magari però se pensi alla squadra è meglio. I playmaker sono spariti, devono per forza segnare, per questo vorrei sempre Daniel Hackett che si preoccupa di come fare suonare bene l’orchestra. Nel 98′ ho vinto una Coppa Italia con la Fortitudo perché sono riuscito a equilibrare il talento di due immensi egoisti, Myers e Wilkins, che non ridavano mai indietro la palla, con il lavoro di smistamento del play. E ci tengo a dire grazie ai giocatori Nba che hanno sostenuto il Black Lives Matter. È stato un gesto di straordinaria bellezza e giustizia”.

PASSIONE PER IL BASKET: “Vivevamo nella bassa bergamasca dove Olmi ha girato L’Albero degli Zoccoli, poi ci siamo trasferiti a Milano con mia madre che mi ha educato ai libri. Leggevo sempre, non uscivo mai di casa, allora lei mi trascinò all’oratorio e lì trovai i canestri, il sogno americano, i Platters. Mio zio lavorava in un negozio di moda dove Bongoncelli, padrino del basket moderno in Italia e dell’Olimpia, portava i suoi giocatori a vestirsi. Così iniziai a frequentare il Palalido, mi mettevo seduto dietro alla panchina di Rubini e appena chiamava il timeout io cercavo di immaginare i cambi che avrebbe fatto anche se per lui il basket era correre, tirare, difendere”.

BASKET DEL PASSATO: “Dan Peterson era quello con più glamour e valore. Rappresentava Milano e la sua task force. Ci siamo confrontati tante volte, la sua difesa laser con Mike D’Antoni metteva paura. Batterlo è stato un lavoro complesso, prima con una squadra di provincia, poi con quella della capitale che però nel basket non lo era. Era una Roma uscita dalla Dolce Vita, che si toglieva dalle spalle la polvere della città ministeriale: con Liedholm e Falcao vinceva lo scudetto nel calcio, piccole aziende digitali nascevano, c’era un risveglio”.

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