Uno dei compagni di avventure calcistiche di Vincenzo Italiano è sicuramente Leonardo Colucci. I due hanno passo insieme ben sei stagioni al Verona come compagni di reparto a centrocampo. Inoltre, Colucci ha vestito la maglia del Bologna per 4 stagioni e per altri 4 anni ha allenato nel vivaio rossoblù. “Uno dei miei figliocci”, così Colucci su Italiano che soltanto 5 anni in più del nuovo tecnico del Bologna. Intervistato da Il Resto del Carlino, Colucci ha parlato del suo passato con Vincenzo Italiano e del futuro che attende l’ex Fiorentina e Spezia
Vincenzo era un grande metronomo, dotato di un lancio fantastico: da settanta metri to sapeva mettere la palla sui piedi. Per le qualità che aveva penso di poter dire che avrebbe potuto fare una carriera perfino migliore.
A Verona resisteva a tutti i cambi di allenatore. Eravamo ben assortiti ma soprattutto ci univa la capacità, e insieme la voglia, di leggere tutte le situazioni di gioco: si può dire che parlassimo lo stesso linguaggio. E non ne parlavamo solo al campo: frequentandoci anche fuori si finiva sempre a parlare di calcio e tattica.
La passione di stare sul campo, la voglia di alzare l’asticella, il fatto di cercare ogni giorno la soluzione giusta per migliorare la prestazione. In questo io e Vincenzo a Verona abbiamo avuto un grande maestro: Cesare Prandelli. Prandelli ti coinvolgeva, ti spiegava le cose: era un piacere lavorare con lui.
Motta a Bologna ha fatto un percorso importante, insieme ai calciatori, ai dirigenti e alla proprietà. Al suo posto arriva un allenatore, Italiano, che assomiglia a Motta nel coraggio. Vincenzo ha il coraggio di giocarsi sempre la partita: di sicuro ‘non si fa giocare’ dalla partita.
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Ha il suo credo, ma attenzione: non lo mette mai davanti alla squadra. Nel senso che ha l’intelligenza per modellare la sua idea di calcio sul materiale tecnico che il club gli metterà a disposizione.
Penso che Zirkzee andrà via, mentre mi piacerebbe che restasse Calafiori: ma l’importante è che nel Bologna restino calciatori motivati. In questo mi fido molto del club e per descrivere il percorso che ha fatto il Bologna di Saputo ricorro alla metafora del contadino: il club ha arato, ha concimato, ha seminato e adesso sta raccogliendo i frutti. Nulla avviene per caso.
Chi fa questa considerazione mi fa arrabbiare. Dice: se perdi tre finali vuol dire che non hai la mentalità da vincente. Ma scusate, il percorso che ti porta a giocare una finale non è da mentalità vincente? Nel calcio esistono gli episodi e quelli orientano tutti i giudizi: ma non è che ha ragione solo chi vince. Io amo le Olimpiadi proprio per questo: perché festeggia anche chi arriva terzo.
Per una forma di rispetto anche se ho le mie idee, non giudico il lavoro del cittì. Dico però che, al di là di tutto, nei nostri calciatori è mancato il furore agonistico: e quello prescinde dall’allenatore. Comunque la Svizzera sabato aveva quattro cittì: Yakin in panchina, più Xhaka, Freuler e Aebischer in campo. Quei tre dettavano i ritmi del gioco, decidevano quando accelerare e quando rallentare. Ed è bello sapere che due di quei tre indossano la maglia del Bologna.
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