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Football americano: i Warriors spengono 40 candeline

Qualcuno è ancora fermo al 5 luglio 1986 quando davanti a 26.000 allo stadio Dall'Ara i Warriors vincono il loro primo ed unico scudetto di football americano nonostante le sette finali disputate. Ma la loro storia inizia cinque anni prima, esattamente il 14 gennaio 1981 quando tre pionieri, Antonio Simone, che diventerà presidente, Paolo Parlangeli e Massimo Terracina fondano la società sportiva Alfheim Warriors.

Il primo logo utilizzato sui caschi da gioco è una stella stilizzata (riportante le iniziali AW), emblema che ricordava lo stemma dei celebri Dallas Cowboys, una delle squadre simbolo della lega professionistica americana NFL. La squadra disputò i primi scrimmage tra i propri giocatori e la rinata formazione dei Diavoli Modena mentre il 5 dicembre 1981, all'Antistadio di Bologna, i Guerrieri disputano, vincendola, la prima partita amichevole ufficiale contro i Redskins Verona. Dall'anno successivo iniziano le vittorie nei campionati, con 19 partecipazioni ai play off, ma anche i momenti difficili con la fusione con i Doves e lo scioglimento della società nel 1994. Dall'Anno successivo la rinascita all'interno della SEF Virtus ma con enormi difficoltà fino al 2003 quando riprendono il nome di Warriors e viaggiano tra alti e bassi fino alla retrocessione del 2016 e il ritorno in serie A dopo due stagioni.

<<Abbiamo confermato tutta la squadra che avrebbe dovuto giocare il campionato 2020 – afferma Paolo Parlangeli, uno dei tre fondatori, oggi responsabile della comunicazione della società presieduta da Elisabetta Calzolari – Dopo esserci salvati il primo anno, ora l'obiettivo è quello di entrare nei play off. Un modo per celebrare sul campo i nostri primi 40 anni visto che a causa del Covid non potremo fare una vera e propria festa di compleanno>>.

Come vedi ora quella firma che avete messo 40 anni per fondare i Warriors?

<<E' stata pura passione per portare a Bologna una disciplina strana, un po' lontana dalle abitudini dello sportivo italiano. Pur essendo presente una tradizione di sport americani come basket e baseball, il fatto che il football sia molto spezzettato non ha raccolto molta fortuna se non nei primi anni ottanta quando la diffusione è stata importante. Inoltre il costo dell'attrezzatura non era indifferente, così come la difficoltà a capirlo immediatamente. Ma la cosa che ne ha frenato la diffusione è non giocarlo nelle scuole e nelle Università. Se un gioco lo pratichi da ragazzo te ne innamori, altrimenti sono in pochi a scoprirlo>>.

Però avete disputato subito un campionato nazionale. Cosa ha colpito i ragazzi che si sono avvicinati a questa disciplina?

<<In effetti nel giro di pochi mesi siamo partiti da una società improvvisata a girare l'Italia perchè c'era un solo campionato ed era nazionale. Chi si avvicinava allora aveva il fascino del contatto. Anche se regolamentato c'erano scontri notevoli. La linea di attacco allora aveva gente di 130 chili. Era tutto basato sulla forza, mentre ora si pensa molto anche alla tecnica e possono giocare in avanti anche persone sotto i 100 chili>>.

In 40 anni quanti sono stati i ragazzi che hanno vestito la vostra maglia?

<<Abbiamo fatto un calcolo e sono circa 2000 i tesserati, un po' di più tutti coloro che almeno per una sera hanno voluto provare questa disciplina. Una cosa bella è che chi ha giocato si è innamorato dell'ambiente e ha riversato la passione sui figli tanto che ora abbiamo seconde generazioni di giocatori>>.

Quale il ricordo più vivo, lo scudetto dell'86?

<<Dal punto di vista sportivo sicuramente. Nello stesso momento mi vengono in mente tanti compagni e dirigenti con i quali abbiamo passato momenti splendidi e che ora non ci sono più>>.

Come vedi il futuro dei Warriors e del football americano in Italia?

<<Ora in Italia ci sono solo 8/9 squadre di vertice che possono puntare a crescere con gli sponsor ma almeno 80/90 nei diversi campionati che vivono sulla passione dei giocatori ed è già una buona base. Per quanto riguarda la nostra società abbiamo sempre mantenuto un buona simbiosi con le istituzioni, ci sentiamo parte di un sistema sportivo cittadino e non appena potremo riavere il nostro pubblico crediamo di poter tornare ad essere un punto di riferimento per lo sport bolognese come abbiamo fatto in questi primi quarant'anni>>.

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Matteo Fogacci

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