Sinisa Mihajlovic (ph. bolognafc.it)

Ti ricordi quella volta? Lo sappiamo: ci sono partite destinate ad entrare nella storia di un club. Sono pagine di un romanzo che tra qualche tempo sarà bello sfogliare, ricordando chi, come e quando. Quella volta che il Bologna di Mihajlovic espugnò San Siro dopo essere andato sotto di un gol, dopo essere rimasto in inferiorità numerica, dopo che l’Inter aveva sbagliato un rigore, dopo che Conte aveva sfoggiato tutto il suo repertorio di faccine da emoticons, dopo che era apparsa la nuvola di Fantozzi e pure l’arcangelo Gabriele sulla traversa, dopo che in fondo perdere contro l’Inter ci sta, dopo che tutto era perduto, ma anche no. Quella volta che tutti andammo a ripescare la carta geografica per capire dove sta esattamente il Gambia. Ok, Africa. Ma dove? Est? Ovest? Quella volta che tutti - ma proprio tutti - affondammo il badile nella pozza della retorica per raccontare la storia - anzi no: la favola - di Juwara e del barcone con cui arrivò in Italia. Quella volta dei sette Under 22 in campo e della scintilla di futuro che portavano in dote. Quella volta che Barrow si confermò l’uomo che si gioca il cielo a dadi (è una vecchia canzone di Vecchioni), quella volta che Skorupski mandò in porta suo fratello bravo e lo vide canticchiare una canzone di Frah Quintale (Hai visto mai, uno come me?) e quella volta che il tifoso del Bologna si sentiva il cuore a mille (questa è “Paracetamolo” di Calcutta). Quella volta che vedemmo Mihajlovic sorridere di un sorriso così luminoso che in tivù mandarono lo stacchetto pubblicitario, perché tutte le bellezze alla lunga sono insostenibili per i cuori fragili. In fondo la partita contro l'Inter l’ha vinta lui - Sinisa - con un esercizio di speranza. Ha creduto in qualcosa che sembrava impossibile. E non si è limitato a quello. Ha convinto i suoi giocatori a crederci, scavando dentro se stessi e trovando quello che non ci si aspetta mai: il coraggio di ribaltare tutto, di scorgere un orizzonte dove non c’è, di scoprirsi migliori di quello che si è. Così fanno i maestri di vita, non solo di calcio. Per la cronaca: il Gambia di Barrow e Juwara è Africa Occidentale, confina con il Senegal ed è una striscia di terra così stretta che sembrare sbirciare l’Atlantico dallo spioncino di un porta. E’ un paese poverissimo, lì i diritti umani sono calpestati, se uno può - appena può - scappa. Per la cronaca: sappiate che Calcutta ha scritto canzoni migliori di Paracetamolo. Per la cronaca: a nostro modesto parere la cosa più bella (più tenera e più commovente) della giornata l'ha fatta Barrow quando ha chiesto la maglia a Juwara. Mai si era visto uno che chiede la maglia ad un suo compagno di squadra. E comunque: a otto giornate dalla fine la classifica del Bologna somiglia a quell'istante quando nel casino della folla riconosciamo uno sguardo. E quello sguardo è un invito, una mano tesa, un'attesa che custodisce una domanda: perché no? Nono posto, 41 punti, Bologna stretto nella morsa tra Sassuolo (40) e Verona (41), Milan a -5, Napoli e Roma a -7, da qui alla fine della corsa tre scontri diretti: Sassuolo, Napoli e Milan. La domanda da timida si è fatta perentoria: perché no?

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