Giovanni Sartori in dirittura d’arrivo. Bene, benissimo. E’ il migliore sulla piazza. A patto che sulla porta del suo ufficio sia affisso il cartello: «Stiamo lavorando per voi». Voi tifosi del Bologna, si intende. L’arrivo di Sartori - che a questo punto più che possibile appare probabile - è teso ad alzare il livello qualitativo del mercato del Bologna. Ancora: bene, benissimo. Però. Sartori sarà il quarto uomo-mercato dell’era Saputo. Pantaleo Corvino, Riccardo Bigon e Walter Sabatini prima di lui. Tre nomi di peso, ognuno con una propria specificità, con un proprio stile, con un proprio «modus operandi». Il terrore - terrore, sì - è che Sartori finisca nel tritacarne, venga in qualche modo risucchiato dal Golem. Nessuno si stupisca: è già successo a Sabatini. Doveva essere il valore aggiunto, si è rivelato il disgiunto. Non ha mai legato con Saputo. E nemmeno con Fenucci e Bigon e Di Vaio. Forte il suo legame solo con Mihajlovic. Sartori, dunque. 65 anni, ex calciatore - era la prima riserva in attacco del Milan che nel 1979 vinse la Stella, poi spruzzate di A e tanta B - schivo, riservato, incline a non apparire mai. Sartori è quello che ad una festa se ne sta in disparte e dopo ci si chiede: ah, ma c’era anche lui? Caratterialmente, più Bigon che Sabatini, men che meno Corvino. Ha inventato il Chievo. L’ha proprio inventato. Da zero. Per gli allenatori ha fiuto. Alberto Malesani è una sua creazione. Quando scelse Del Neri, il buon Gigi era stato appena esonerato dalla Ternana e in Serie B aveva messo insieme 9 panchine. Con entrambi ha aperto dei cicli vincenti, partendo dalla Serie C e arrivando in Champions League. Con Bepi Pillon, per dire. Fiuto, dicevamo. Quando Stefano Pioli arrivò al Chievo nel 2010 aveva quarantacinque anni, né tanti e nemmeno pochi per un allenatore. Veniva da buoni campionati tra Grosseto, Piacenza e Parma in Serie B; ma nell’unica volta che aveva allenato in A - a casa sua, a Parma - era finita male e si era scottato. Sembrava un allenatore di categoria (la B), ma Sartori gli offrì la panchina del Chievo. Quell’anno: 11° posto. Per Pioli il Chievo è stato il piedistallo per alzare il livello della sua carriera. Intuizione felice di Sartori. Con Beppe Iachini e Mimmo Di Carlo ha ottenuto ciò che voleva: certezza della categoria. L’unico errore vero è stato Giuseppe Sannino, con Silvio Baldini - parliamo di vent’anni fa - non c’era feeling. Così come non c’è mai stato con Gian Piero Gasperini. Che però ha scelto lui. Per un po’ si sono sopportati, poi non si sono nemmeno più parlati. Rispetto dei ruoli, certo. Ma nessuna fratellanza. E Percassi a fare da tramite. Ciò che Sartori ha fatto prima nei suoi vent’anni di Chievo e poi nei suoi otto anni di Atalanta è stata una cosa semplice eppure complicatissima: costruire squadre che funzionassero. I risultati ottenuti in questi anni danno conferma che il Bologna con Sartori ha fatto la scelta migliore. A patto che - anche a Bologna, come è successo a Verona e Bergamo - lo lascino lavorare.

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