Affrontare la questione del rigore-farlocco che l’arbitro Marinelli ha assegnato al Venezia per un non-fallo di Medel su Aramu significa considerare una questione cruciale sul futuro del nostro calcio. Non era rigore, siamo tutti d’accordo, vero? Ok, siamo tutti d’accordo. Medel ha toccato il pallone, sfiorato la gamba. Aramu è crollato, caduto come corpo morto cade, ma fuori sincro, con quei tre secondi di ritardo che fanno pensare: ha simulato. Non era rigore, su. Il fatto è che erano tutti d’accordo anche domenica pomeriggio al Penzo. Tutti, in campo e fuori. Tutti, persino gli arbitri. Cioè: tutti gli arbitri, anche il signor Maggioni che al Var - dalla fantasmagorica Lissone - ha chiamato il collega alla «On field review», che equivale a mettergli una mano sulla spalla e dirgli: stai facendo una cazz***. Tutti d’accordo, tranne uno, l’ineffabile signor Marinelli. Indovinate un po’? Alla fine ha deciso lui, controvento ad ogni logica, ad ogni suggerimento, ad ogni lucidità. Ha deciso e ha indirizzato la partita, perché a quel punto il Venezia ha preso l’abbrivio e ha (ri)messo alle corde - com'era successo nei primi venti minuti - un Bologna scombiccherato e fuori giri. Così non Var, vien da dire. Perché Marinelli ha fatto - né più e né meno - quello che facevano certi suoi colleghi degli anni 70 e 80, quando le televisioni non erano così presenti e quando l’arbitro aveva potere di vita e di morte sulla partita e allora talvolta - per vanità o per malaffare - la plasmava a suo piacimento. E dunque la domanda è: cosa è cambiato da cinquant’anni fa a oggi? Facciamo un passo indietro: la Var nasce come tecnologia a supporto - ripetiamo: a supporto - della direzione arbitrale. Non esiste che l’arbitro ne diventi ostaggio come sta succedendo con sempre più frequenza. Chiediamoci: la Var ha eliminato più errori o ha fatto più danni? Non c’è gara. Ha eliminato più errori. E’ stata d’aiuto, non vi è dubbio. La questione vera, lo snodo cruciale, non è tanto il supporto tecnologico, quanto il nuovo ruolo dell’arbitro. Che è stato costretto a cercare una nuova identità. C’è chi ce l’ha fatta, c’è chi è rimasto incastrato nell’ingranaggio. Al netto del romanticismo e dei bei tempi andati (ah, com’era bello quando non c’era la Var), il supporto tecnologico - nell’anno di grazia 2022 e in quelli a venire purché indietro non si torna - appare indispensabile per avvicinarci - ripetiamo: avvicinarci - a quell’idea di giustizia sportiva che tutti noi abbiamo per anni invocato. Lunga e dolorosa sarà la strada che ci porterà a trovare un equilibrio tra il sospetto di un torto subito e la certezza di un vantaggio ricevuto. Però è una strada e va percorsa. E così dobbiamo accettare che gli arbitri continueranno a sbagliare e la Var continuerà a correggerli. E fin qua tutto bene. Ma se quando la Var proverà a correggere errori marchiani e si troverà di fronte un Marinelli che nella sua superbia rifiuterà il consiglio e la mano sulla spalla; allora si tornerà al punto di partenza e l’unica domanda da farsi sarà: ma a che serve ‘sta Var?

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