E chi non ha mai pensato che certe imprese sportive spesso hanno un lieto fine come nei migliori film?
Sì, perché un lungometraggio sul Bologna degli ultimi dieci anni, dalla Serie B alla Champions League, passando per l’indelebile parentesi di Sinisa Mihajlovic, sarebbe qualcosa di avvincente e romantico.
E quest’oggi, Il Corriere dello Sport ha riportato un’intervista fatta ad Antonio Avati, produttore cinematografico nonché fratello del celebre regista Pupi, in occasione del film “L’orto americano”, in questi giorni al cinema.
Tanti i temi trattati, la maggior parte riguardo al Bologna, sua squadra del cuore.
Di seguito alcune delle sue parole, relative alla passione per il club rossoblù.
Siamo in corsa per un buon piazzamento. La Coppa Italia poi sarebbe un grande risultato che mi autorizzerebbe a perdonare nuovamente il pullman a Piazza Maggiore, e Italiano supererebbe Motta. Visto l’inizio negativo di questa stagione, mi sono sentito patetico per la sfilata, i cori, i pullman del ritorno in Champions, avevamo festeggiato il nulla. Però le cose sono cambiate.
A parte il grave tradimento umano per aver scelto prestigio e denaro andando nel club più popolare d’Italia, credevo che Motta, come tattico e per intelligenza, fosse superiore a Italiano che ho esagerato a condannare subito. Certo i risultati straordinari li ha fatti Motta. Italiano però è onesto e mi sta meravigliando positivamente. Gli chiederò scusa.
Non voglio mandarlo via! Ma se per qualsiasi ragione dovesse andarsene, cercherei di recuperare Mancini o un altro in linea con le nostre ambizioni, come Sarri che forse abbiamo dimenticato che esista.
Sinisa mi piaceva moltissimo come persona. Uno tenace, capace di relazionarsi con i giocatori. Non era un grande tattico ma aveva un grande cuore. Straziante vederlo incitare i suoi ragazzi quando andavano sotto al balcone dell’ospedale. Lui straordinario.
Lo scudetto si può sognare. Saputo è un presidente fantastico, sta dietro le quinte, non si espone, è dolce e saggio, se avesse voglia e possibilità di puntare sul mercato estivo, riempiendo quelle 2-3 caselle con top player, si può sperare di arrivare in paradiso, come nel 1964 il Bologna di Bernardini. Oggi, per com’è, la squadra sta facendo pure troppo, non c’è un atteggiamento rinunciatario e c’è uno straordinario feeling tra giocatori e tra squadra e tifosi che perdonano tutto. È una bella sinergia.
A me piacciono i centrocampisti-registi, i giocatori intelligenti, geometrici. Uno come Schouten che purtroppo è andato via, o come Nils Liedholm, Juan Alberto Schiaffino, Giacomo Bulgarelli. Oggi vedo molto bene Freuler e Ndoye, che quando imparerà a fare più gol e a inquadrare meglio la porta diventerà un campione.
Non avendo purtroppo più mio padre, avevo uno zio che in fatto di calcio lo ha “sostituito”: mi ha portato allo stadio la prima volta, avevo 5 o 6 anni e ho perso la testa. Non era il certo il Bologna che venne dopo, quello di Bernardini. Aveva tifosi intenditori, molto esperti e pochi giovani. L’avversario forse era l’Atalanta, ricordo che ci fu l’espulsione di un calciatore, Rota, un terzino, e lì capii che l’arbitro aveva il potere di interrompere la partita e di sbattere fuori un giocatore. Lo stadio era il mio divertimento più grande. A quei tempi già a dieci anni ci si andava da soli. Io avevo le mie 400 lire, quattro monete da cento, per entrare in curva. Le tenevo da parte dal lunedì alla domenica. Oggi, alla mia età, sono malato: dopo il cinema, che sta al primo posto delle priorità, viene il calcio.
A Pupi non interessava nulla del calcio, faceva musica, pensava ad altro. Nell’anno dello scudetto del 1964 (l’ultimo, ndr) però c’era fermento, si andava a vedere gli allenamenti in pomeriggi straordinariamente liberi. Altro che compiti, io non studiavo mai, lo costrinsi ad accompagnarmi. Era il Bologna di Pascutti, di Bulgarelli, e anche Pupi perse la testa, per campanilismo e amore per la città, senza capirne niente, tanto che se gli chiedevo il ruolo di Pavinato non lo conosceva. È diventato milanista tardi, per amore del nipote Lorenzo che si innamorò di Pippo Inzaghi, conosciuto grazie a un amico di Diego Abatantuono.
L’ho fatto sul calcio non sul Bologna. “Ultimo minuto” (del 1987, scritto con Pupi, Italo Cucci e Michele Plastino, ndr), con Ugo Tognazzi, un film riuscito ma non andò benissimo. Anticipava tante cose. Durante la distribuzione de “L’orto americano”, Farinelli organizza una mini rassegna dei nostri film degli anni ’80, in onore di Pupi e mio, e sarà proiettato anche “Ultimo minuto”, al cinema Modernissimo di Bologna.
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