Nell’edizione odierna de Il Corriere dello Sport, Santiago Castro ha parlato in una lunga intervista in cui si è raccontato. Dagli insegnamenti di Motta e Italiano, fino al sogno albiceleste. Ecco le parole del numero 9 del Bologna.
In famiglia ognuno ha il suo compito per aiutarmi. In famiglia un parente fa il video analyst che mi manda sempre i filmati delle mie partite. Uhh quanto mi arrabbio quando mi rivedo: davanti al monitor mi dico “dovevo fare così o così” e dopo cerco di pensarlo e fare la cosa giusta già in allenamento, soprattutto quando sono spalle alla porta.
Papà Dario mi ripete sempre come devo controllare il pallone, come devo calciarlo, e mi dice che devo migliorare nel gioco. Ci divertiamo, scherziamo insieme, condividiamo tanto e per me è anche come un fratello maggiore. In Argentina vivevamo insieme, mi manca molto e la lontananza è difficile per entrambi, ma è venuto qua il 13 per il mio compleanno e sarà a Liverpool. A proposito, ha detto che se segno ad Anfield non sa cosa potrebbe fare allo stadio, ho paura di guardare la tribuna. Io gli ho risposto che prima c’è l’Atalanta.
Sappiamo che la Champions League è speciale. Quando giocando a Fifa ascoltavo la musichetta era bellissimo, poi mentre la sentivo dal campo contro lo Shakhtar pensavo a tutto quello che avevo passato per essere lì e mi è venuta la pelle d’oca a sentire i nostri tifosi cantarla. Ma noi dobbiamo pensare a tutto: anche a quando arriverà la Coppa Italia. Adesso c’è l’Atalanta e dopo il Liverpool, se guardiamo oltre per me sbagliamo.
Per me siamo uguali all’anno scorso. Siamo una famiglia. Di diverso c’è che gli avversari adesso giocano in un altro modo contro di noi. Non è più la stessa cosa.
Joshua, qui a Bologna, ha fatto un qualcosa di straordinario. Ha dimostrato un gran livello. Io l’ho guardato molto cercando di imparare da lui che quando è andato via mi ha detto che mi ha visto preparato e che devo continuare a lavorare. Mi ha mandato un messaggio il giorno del compleanno, che poi è stato il giorno dell’esordio in Champions. Mi ha scritto cose importanti. Indossare il numero 9 dopo di lui, ma anche dopo Julio Cruz, dopo Marco Di Vaio, dopo Rodrigo Palacio è una bella responsabilità. A me le responsabilità piacciono, anzi le cerco.
Uno e due gol, ma io penso a dover fare di più. Anche mio papà mi dice che devo andare per fare di più.
Non so se è il più bello, perché al Velez ne ho fatti 2 bellissimi con River e Tucuman, ma è nella top 3 per ora.
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Non penso a quanti gol farò, se penso a 10 poi non li segno dopo fa male alla testa, alla mentalità. Io so che a chi lavora bene poi arriva tutto. Credo che se lavoro bene e gioco bene il gol arriva da solo.
Sono migliorato come gioco. Prima andavo più in profondità, mentre adesso gioco di più con la squadra, come faceva Joshua. In Italia il centravanti tocca molto il pallone e sono migliorato in questo aspetto. Come ho detto dal primo giorno che ho parlato pubblicamente io sono un giocatore che lavora per la squadra: posso fare gol, posso fare assist, ma se non li faccio nessun problema perché devo recuperare il pallone e dare un gioco molto bello alla squadra.
Ha detto subito che se il centravanti gioca bene la squadra gioca bene e per questo io faccio un lavoro che va oltre l’individuale. Già nella prima settimana del suo arrivo il mister mi ha parlato. Aveva lavorato con Vlahovic, con Lucas Beltran, Io lo ascolto molto e ascolto molto tutto il suo staff perché sono persone che vivono il calcio da molto tempo e in questo periodo mi ha aiutato moltissimo. Ho parlato di Italiano con Beltran.
Dipende dall’avversario che incontri, se sta chiuso nella propria metà campo o si gioca più aperto. L’idea di voler tenere il pallone è la stessa dell’anno scorso, quest’anno siamo più verticali. L’allenatore ci dice di mantenere il possesso e quando non ce lo abbiamo di cercare di recuperarlo il più possibile vicino alla porta avversaria.
Io lo guardo molto. Non è uguale, ma io penso a giocare come lui che è un giocatore fortissimo, che è un capitano di una delle squadre più grandi del mondo. L’ho conosciuto personalmente prima di Bologna-Inter della scorsa stagione e mi ha detto che il calcio italiano è durissimo. Nello stile di gioco siamo simili, io ho guardato i suoi movimenti, non solo i suoi ma di tutti i numeri 9. Con Retegui ho parlato prima di Genoa-Bologna, mamma mia, un gran giocatore. Per la “garra” mi hanno accostato a Tevez, quella non deve mancare mai. Ma io guardo anche Julian Alvarez perché per me guardare un giocatore di classe mondiale è meglio: posso nutrirmi da questi.
In questa squadra ci sono Lollo De Silvestri, remo Freuler, Riccardo Orso e io li ascolto tutti perché, mentre io sto iniziando, loro hanno più esperienza.
Qui picchiano di più ma provocano di meno. A me piace lo scontro anche verbale, io parlo molto in campo, dico le cose al mio avversario, ma non bisogna mai mancare di rispetto. Alcuni stranieri invece non parlano, forse è proprio una caratteristica latina.
Per me giocare per l’Argentina è tutto. Mascherano è un grande allenatore che mi ha aiutato molto: ha carisma e quello che dice ti entra dentro. Certo, non andare mi è dispiaciuto. All’inizio della preparazione Sartori e Di Vaio me lo hanno detto e mi hanno spiegato il perché. Nella mia testa da quel momento c’è stato subito un click. Mi sono detto “ok”, ora tutto sul Bologna. E quel lavoro in ritiro è stato fondamentale.
Dan è fortissimo, uno dei migliori in Serie A nell’uno contro uno e adesso quando mi darà il pallone non devo sbagliare più.
Ci stiamo conoscendo, ci prepariamo, ci scambiamo sguardi e piano piano facendo bene insieme, lo faccio anche con Urbanski: in un anno o due faremo come Ferguson e Zirkzee che hanno poi detto come fosse importante per loro due giocare al fianco dell’altro.
Messi lo seguo fin da piccolo. Chi è nato dopo il 2002 in Argentina guarda Messi. Ma Maradona è un idolo, ma è lassù, lontano.
Quello è un sogno, ma penso all’oggi. Il calcio è strano. Io devo occuparmi di migliorare, crescere e lavorare per la squadra, anche se fra un gol a Liverpool e la Nazionale non ho dubbi: l’abiceleste.
Mi piace: voglio raccontare la storia sulla mia pelle. Ho una ventina di tatuaggi e tra poco ne aggiungerò uno sul braccio, un simbolo del Velez. I tortellini? Non li mangio molto, perché devo mangiare sano.
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