Intervistato dal Corriere dello Sport-Stadio, l’ex attaccante del Bologna Giacomo Cipriani ha parlato dello stato di forma della squadra di Vincenzo Italiano. Bolognese doc, aveva avuto la possibilità di esordire in Europa insieme a Pagliuca, altro prodotto del vivaio. Ha espresso il suo punto di vista sulla partenza a rilento del Bologna, che quest’anno sarà impegnato in Champions League. Ecco le sue parole.
Non sono sorpreso di un possibile avvio a rilento perché è stato cambiato tanto, a partire dall’allenatore, mentre il mercato si è fatto un po’ per volta, quindi Italiano non ha avuto modo di lavorare con tutti a disposizione. Si deve ricreare l’entusiasmo che vive di prestazioni e vittorie; l’anno scorso era un momento di esaltazione continuo, dove ognuno ha fatto molto bene, compreso il tecnico. In questa stagione sono state fatte altre scelte, partendo da giocatori giovani con fiducia che possano ripetere ciò che è stato fatto l’anno scorso. E’ molto presto, diamo tempo a Italiano che ha idee molto diverse da Motta, e non è neanche facile per la squadra resettare.
Sono giocatori giovani che si approcciano per la prima volta, interamente, al campionato italiano. Castro ha certe caratteristiche, è un buon giocatore, ma bisogna capire se può fare il titolare o stiamo aspettando Dallinga nel caso in cui sia indietro di condizione o per motivi di adattamento. Sono due profili interessanti, farsi un’idea adesso non è nemmeno semplice.
Difficile saperlo, più che altro perché devi stare attento anche al calendario della altre. Penso che l’obiettivo della società sia fare una bella figura, valorizzando i giocatori che ha: i giovani, soprattutto. Se succederà, sarà già un motivo di crescita perché ti confronti con realtà che masticano l’Europa e la Champions da anni. Per me, questa è una prova importante, al di là delle “reali” ambizioni che credo sia quella di andare più avanti possibile. Però, già confrontarsi e giocare alla parti con certe squadre è già un obiettivo raggiunto.
Addirittura, già dai tempi di Mazzone avevo iniziato ad assaporare il profumo d’Europa, anche se da non protagonista, ovviamente. Non dico che era normale per il Bologna stare a quei livelli, ma si poteva pensare che fossero un po’ gli anni d’oro. Oggi è stato raggiunto un risultato clamoroso perché, ovviamente, la Champions League è la competizione più ambita da tutti. Sarà una stagione da vivere, così come per la Primavera che prende parte alla Youth League: i ragazzi devono avere un senso di responsabilità.
Diciamo che la mia è stata una storia particolare. Non per sminuire la carriera dei giovani che si affacciano alla prima squadra, ma in quegli anni la dimensione del campionato italiano era molto più importante. Le nostre squadre andavano in Europa da protagoniste, anche se ti chiamavi Bologna: per dire che non era di prima fascia. Oggi ci ripenso e dico: “Cavolo, ho avuto quel tipo di opportunità” e per vent’anni a nessuno è ricapitata. Nella stagione precedente giocavo in Primavera, ho avuto la fortuna che Sergio Buso mi ha portato in prima squadra credendo in me; perché, insomma, lanciare un ragazzo di 19 anni in Coppa UEFA, da titolare, contro lo Zenit San Pietroburgo non era una cosa scontata. Oggi si parla sempre del giovane – sembra quasi una gara – mentre una colta succedeva se il ragazzo era pronto.
Nonostante non ci fossero i social, comunque sia ero il ragazzo bolognese, cresciuto nel settore giovanili del Bologna, giocavo in un ruolo anche abbastanza particolare… sembravo quasi un pensionato. Era un qualcosa che i tifosi aspettavano chissà da quanto tempo.
Ero contento, ma per il mio tipo di carattere la pressione era tanta. E avevo iniziato con il botto: gol in Coppa UEFA, l’anno dopo rete in campionato, facevo parte delle nazionali giovanili co convocazione in Under 21 a 19 anni. Alcuni si sarebbero montati la testa, io invece ero al contrario: non essendo uno da riflettori, a volte lo reputavo “troppo”.
I compagni erano eccezionali. L’unica cosa che, all’epoca, non dico che c’era un po’ di nonnismo, ma esisteva un rispetto delle gerarchie che oggi vedo meno. Io ero umile e non mi accontentavo dei traguardi che raggiungevo – quindi non era un mio problema – ma sicuramente i più anziani erano degli esempi. Mi hanno aiutato molto.
Il calcio è molto diverso, rispetto a quando giocavo io: sei sempre sotto i riflettori. Non vivendo questo mondo in prima persona, posso dire di non farsi risucchiare dalla sua parte esterna, quella che a me personalmente piace meno. Devono concentrarsi a migliorare in tutto ciò che il calcio può offrire, come la competizione e non tralasciare la famiglia. So che lo faranno: Ravaglia l’ho conosciuto tanti anni fa, è un bravissimo ragazzo.
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