Sempre più forte – per il Bologna –  prende forma il rimpianto di un anno perso, scialacquato, lasciato andare per ignavia e incapacità . Proviamo a spiegare il perché, partendo dal pareggio conquistato sabato a Salerno, che dovrebbe essere stato il primo giro di chiave per blindare la salvezza del Bologna (al momento a 32 punti). A questo punto del campionato – mancano 11 turni più il recupero con l’Inter – la proiezione dei punti necessari per salvarsi si attesta sui 34-35, con un leggero ribasso rispetto agli anni precedenti. L’anno scorso ne servivano 34: la terzultima, il Benevento, retrocesse con 33. Due anni fa il Lecce a 35 andò giù. Tre anni fa Empoli e Genoa (che si salvò) arrivarono a 38. Il fatto che servano meno punti è la dimostrazione plastica della pochezza della Serie A e – in sostanza – del suo impoverimento tecnico e qualitativo. Che non riguarda solo il Bologna e le squadre di fascia medio-piccola, ma anche le grandi: rispetto all’anno scorso hanno tutte svariati punti in meno. Questa mediocrità diffusa – certificata anche da un mercato dove nessun club si è davvero rinforzato – in teoria avrebbe dovuto costituire una grande occasione. Soprattutto per una squadra come il Bologna che da anni – da quando c’è Saputo al timone – ambisce a fare il salto di qualità e che ha una solidità economica tale per provarci. Ma il salto di qualità nemmeno quest’anno è arrivato, riservando alla squadra la solita stagione che all’inizio parte con grandi premesse e poi si consegna inerme all’anonimato. La rivoluzione saputiana è ogni anno rimandata all’anno dopo. L’aspetto più desolante però è un altro. Se consideriamo il 2015-16 – primo anno di Saputo in A – come il punto di partenza e paragoniamo il cammino del Bologna a quello di altre squadre della sua fascia che da allora hanno sempre frequentato la Serie A, ci accorgiamo che – al netto di strategie e possibilità diverse – la soddisfazione di aver centrato l’Europa manca solo ai rossoblù. La Fiorentina ci è riuscita con Paulo Sousa, il Torino con Mazzarri, il Sassuolo con Di Francesco. In questi anni per i club nominati ci sono stati alti e bassi, ma una stagione impreziosita da un traguardo raggiunto (l’Europa) è prerogativa comune di queste squadre di fascia media. Non abbiamo citato l’Udinese, che però nel primo decennio del 2000 era abbonata alla qualificazione in Europa e che invece da qualche anno ha fissato nella permanenza in Serie A il suo obiettivo primario. Il Bologna, invece, questa gioia se l’è negata. C’è qualcuno a Casteldebole che si chiede: perché loro sì e noi no? E soprattutto c’è qualcuno che a questa domanda prova a dare una risposta seria e credibile?
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